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      Tomaso avea tolto, lacerato l'editto; avea costretto il capitano della sua piazza a dichiarare per atto di notaio di non volere inquisizione. Deputati della città si recarono dal Toledo, che li ricevette con soavi parole, protestando ancor esso contro l'inquisizione spagnuola, ma dimostrandosi attonito, che non più consentissero alla provvisione papale. Per intimorire il popolo, Girolamo Fonseca, reggente della Vicaria, citò ed esaminò per ordine del Toledo tutti i capitani delle piazze e l'Aniello, cui volea ritenere prigione. Ma questi vi si condusse, accompagnato da gran moltitudine, la quale, postasi intorno al palazzo, minacciosa aspettava. Il Fonseca lo licenziò dopo breve esame, consegnandolo al marchese Ferrante Caraffa, che in groppa del suo cavallo portollo trionfalmente per tutta Napoli e infine lo ricoverò in casa sua.
      Per vari incidenti crescendo il tumulto, e Napoli minacciando di sottrarsi al giogo spagnuolo, il Toledo si pose a concedere di buone parole secondo il solito; e covando nell'anima gastighi e vendette dichiarò che non parlerebbesi più dell'inquisizione; quando per caso l'imperatore la volesse introdurre, ei sarebbe il primo a niegarla ed andarsene, tenendo per certo che anche contro di lui non mancherebbero le false testimonianze18. Però non cessavano i segni contrari. La città si toglieva all'obedienza del vicerè e ne scannava i soldati; spediva ambasciatori a Madrid, ed era suo grido: - Mora l'inquisizione! Viva l'imperatore! - Napoli ottenne, ma per poco, l'intento.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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