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      Carlo V mercanteggiava la promessa che non porrebbesi inquisizione all'avaro prezzo di 100,000 ducati, oltre la testa di trentasei cittadini, graziati poi quasi tutti, salvo il Mormile e Giovan Vincenzo Brancaccio, preso e decapitato quattro anni dopo. Dietro codeste assicurazioni, i molti riformati ripresero animo. Se non che breve durò l'illusione. Il Toledo lasciava fare al vicario di Napoli, che imprigionati mandavali a Roma. Nelle provincia inferocivasi peggio che in Ispagna. Il Caracciolo, figliuolo d'una sorella del Caraffa, nel 1551 espatriava a Ginevra. Lorenzo Romano nel 1552 si facea traditore; presentatosi al cardinal Teatino, svelava i nomi di molti correligionari, e publicamente abiurava a Napoli ed a Caserta. Uscirono allora severissimi editti, che accesero in Napoli nuovi tumulti per molti dì e mesi; caddero in balia della inquisizione Gian Francesco d'Alois di Caserta e Gian Bernardino di Gargano, dopo lunga prigione decapitati. Gli altri si nascosero; subirono la messa e tutti i cattolici riti, e a poco a poco, scemati ogni dì dai tormenti, si dileguarono.
      VIII
     
      EFFETTI DELL'INQUISIZIONEL'effetto di queste misure da un capo all'altro della penisola fu talmente dannoso, che l'anima della nazione portane ancora le impronte. E prima di narrare il martirio de' Calabresi, sentiamo l'obligo di ricordare talune cose, le quali non saranno mai ripetute abbastanza.
      Se la caduta di Firenze segna la nostra morte politica, l'opera del Caraffa compie i propositi economici di Carlo V, lo spianto di tutte le industrie e di tutti i commerci italiani, quasi la morte intellettuale della nazione.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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