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      L'inquisizione ruppe e disperse quanto legava ed ancora animava le varie nostre famiglie; intimò silenzio alle manifestazioni della vita; incatenò, ottenebrò gli intelletti; eresse una polizia universale, a cui mettevano capo le informazioni e gli ordini de' suoi tribunali, de' suoi inquisitori segreti ed aperti, de' Gesuiti e de' frati d'ogni maniera, de' confessori, de' nunzi, de' vescovi e de' suoi innumerevoli agenti sparsi pel mondo.
      Subito corse per tutta Italia un fremito di paura, un gelo di morte. Quattro o cinque anni dopo appar già lo squallore. Chi cede, chi fugge; chi non cede, o non fugge, sarà tra non molto arso. I partiti, che rinacquero sotto al dolore dell'impotenza, soccorrono all'opera nel cieco lor odio; in più luoghi, come a Ravenna apparve chiarissimo, il rancore politico suggerisce le accuse; l'inquisizione raccoglie ed estermina. Lo stesso clero in due si divide, di amici e di nemici al sapere, che con quella combattono. La Chiesa da quel momento dichiara aperta, implacabile ed immortale guerra agli studii. Subito diventa sospetta qualunque erudizione. Molte scuole sono chiuse, i maestri dispersi, come quelli di Modena. A Napoli, benchè rimanessero appena dell'antico i vestigi dell'accademia pontaniana, non mancava l'ardore e l'ingegno; e il vicerè Toledo sopprimeva d'un botto le nuove accademie del seggio di Nido e del seggio Capuano, perchè vi si ragionava talvolta di religiosi argomenti19. Le università di Siena e di Pisa pochi anni più tardi sono deserte; taluni studenti finiscono in carcere; altri fuggono le inospitali aule; molti per lo spavento impazziscono.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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