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      Appena seppe costui la sventura di Gian-Luigi, sebbene fervente cattolico, fissò il proposito di salvarlo. Potè procacciarsi raccomandazioni presso il cardinale Alessandrino dal governatore di Cuneo e da quel conte della Trinita, che insanguinando le Valli dal 1557 al 1560, erasi fatto altamente benemerito dell'inquisizione. Alla presenza d'un giudice, ei rivide il fratello. Era pallido, macero nelle membra da far paura; stava con braccia e mani così duramente legate da cordicelle che ne avea segate le carni, Bartolommeo nel vederlo si svenne36. E il Pascale:
      - Fratello mio, perchè vi turbate sì forte? non sapete voi che non cade una foglia d'albero senza la volontà di Dio?
      Il giudice, frate senza viscere umane che accompagnava Bartolommeo, intimò il silenzio all'eroico giovine villanamente dicendogli: - Taci là, eretico.
      E quindi il povero fratello, che poi descrisse alla disgraziata Guerina le visite fatte al suo Gian-Luigi in strazianti lettere conservateci dallo storico de' martiri calvinisti, tentò condurlo a cattolici sentimenti; gli dipinse la desolazione de' suoi, gli parlò della fidanzata, gli offerse metà delle proprie sostanze. Alle preci, alle lagrime del fratello rispondeva egli sempre: - Le porte della mia carcere non s'apriranno che dietro un'abiura; e ciò sarebbe la perdita dell'anima mia.
      - E i tuoi parenti non sono dunque nulla per te? soggiungeva l'altro.
      - Chi non sa, disse Gesù Cristo, sacrificare suo padre e sua madre per amor mio, non è degno di me.
      Per tre giorni, almeno quattro ore consecutive ogni volta, nuovi inquisitori gli stettero intorno, cercarono persuaderlo d'errore, od atterrirlo col più terribile de' supplizi.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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