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      Per meglio comprendere l'assurda iniquità di codeste misure, che manifesta il disordine, e la malvagia debolezza del governo spagnuolo, e lo sfascio sociale del regno, ci si vogliano condonare due o tre note su tali condizioni d'allora, che forse valgono a spargere luce anche sulle condizioni presenti. Conviene anzi tutto premettere che i banditi eran molti. Stava a base di tutto la violenza e l'arbitrio. Quella, temperata di quando in quando dalla cupidigia venale, dominava nel foro - come ne' palagi, nella reggia - quanto ne' templi; giudici, governo, baroni, ecclesiastici, davano tutti insegnamento di forza brutale. E il popolo, non rimanendo suprema legge che quella del taglione, cacciavasi nella violenza a similitudine loro. Di giustizia non restava che un nome deriso, a pretesto e mantello d'ogni passione. E quando essa colpiva, apparia vendetta, o ingenerava più numerosi delitti. Attestasi che nella sola Napoli, durante l'anno 1550, il vicerè abbia fatto morire per mano del boja 18,000 individui. Tuttavia i furti e gli omicidii moltiplicavansi meglio di prima, osserva il Miccio37.
      Già la camorra viveva. I banditi napoletani formavano una società nella società; si avevano un re; obedivano a certe forme e statuti; s'imponevano, per esempio, la regola di rubare, ma possibilmente di non ammazzare. Ad onore e gloria de' frati, costoro pei camorristi d'allora facevano eccezione alla regola; e quanti frati cadessero nelle mani de' ladri, perivano38.
      Ciò proveniva dall'odio popolare e dal basso sprezzo, che circondava ogni frateria pei costumi iniqui dei chiostri e per le obbrobriose rivalità di mestiere tra le cocolle di questo o di quel colore.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





Napoli Miccio