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      La sola memoria di sì orrenda tragedia strappava le lagrime ad uno spettatore44, il quale scriveva: - Non sì può imaginare la dolcezza e la pazienza, con cui questi eretici soffersero il martirio e la morte. Pochi furono quelli che morendo si dichiarassero pronti ad abbracciare la fede cattolica; i più sono morti nella loro ostinazione infernale. Con tranquillità imperturbabile tutti i vecchi morirono; soltanto i giovani manifestarono un po' di paura. Tutte le membra mi tremano ancora quando mi raffiguro il carnefice col coltello insanguinato fra i denti, in mano la benda sgocciante sangue, le braccia rosse di sangue, che andava afferrando i prigionieri l'un dopo l'altro, come un beccaio prende i montoni che vuole scannare.
      Questa fu per un boia la più faticosa e gloriosa delle giornate.
      All'indomane si squartarono tutti i cadaveri, gettaronsi quelle membra su carri a bella posta raccolti; e le andarono appiccando, disseminate sugli alberi della strada, che batteva il procaccio verso Castrovillari, sino ai confini della Calabria, trentasei miglia. A mantenere abondante quell'orrida provvigione, le torture ed il boja durarono lavorando fino all'ultimo di giugno45.
      Assisteva alle carnificine fra Valerio, cooperante un altro inquisitore, quel Panza che poco dopo funestò Reggio con atti-di-fede. A cotestui si attribuiscono crudeltà squisitissime in Montalto commesse. Certo Bernardino Conte andando al supplizio gettò via un crocifisso, che il boja per forza avevagli messo fra mani. Il Panza sentì l'obligo di fargli espiare il nuovo delitto con più dolorosa morte; e lo fe' per quel giorno ricondurre in prigione, poscia trarre a Cosenza.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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