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      Anche questa teoria è ipotetica, ma almeno è in perfetta armonia col fatto massimo dello sviluppo progressivo della creazione organica, è appoggiata al doppio principio filosofico dell'azione costante e del minimo d'azione e le sue premesse fondamentali sono discutibili coll'appoggio di fatti che si rinnovano sotto i nostri occhi.
      Le difficoltà della sua applicazione a casi concreti sono ancora assai gravi, ma in massima parte dipendenti dalla grande penuria di materiali presenti e conosciuti in confronto di quelli che sono ancora nascosti all'occhio umano. Anche per questo, di affrontare coraggiosamente un mare di questioni confidando nel tempo e nelle ulteriori scoperte della scienza, questa teoria deve aver la preferenza sopra un'altra che a tutte di proposito volga il tergo.
      Le prime idee sulla variabilità delle specie, sulla loro figliazione genealogica, tralucono già negli scritti di alcuni filosofi della natura del secolo scorso, in Erasmo Darwin, in Goethe, in Geoffroy di S. Hilaire, ma poi si sviluppano meglio e si combinano in corpo di dottrina nella filosofia zoologica di Lamarck. Ed è sì prepotente la naturale direzione delle scienze naturali per questa via che, malgrado la prevalente autorità di Cuvier, una sorta di fatale necessità ad abbandonar il dogma della immutabilità della specie spunta ad ogni tratto negli scritti di molti osservatori, come quei germi di malcontento delle masse che preannunciano le rivoluzioni sociali. Ed è una vera rivoluzione della filosofia zoologica quella che finalmente fu operata da Carlo Darwin, nipote di Erasmo, in un'opera che forma epoca nella scienza per la ricchezza delle osservazioni, l'acume sintetico, la irresistibile forza dei ragionamenti.


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L'uomo e le scimie
di Filippo De Filippi
1864 pagine 53

   





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