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      Pensier null'altro io m'ebbi infin dal tempoChe a me tremante il precettor severo
      Segnava l'arte, onde in parole moltePoco senso si chiuda; ed io, vestita
      La gonna di Volunnia, al figlio iratoPersüadea, coi gonfii sillogismi,
      Ch'umil tornasse disarmato in Roma,
      Allor sol degno del materno amplesso.
      Me dalla palla spesso e dalle nociChiamava Euterpe al pollice percosso
      Undici volte, nč giammai di vergaMi rosseggiō la man, perchč di Flacco
      Recitar non sapessi i vaghi scherzi,
      O le gare di Mopso o quel dolenteVoi che ascoltate in rime sparse il suono.
     
      Ma vi ha di pių: io sono lieto di potervi oggi recare una nuova prova meravigliosa della precoce potenza, con la quale Alessandro Manzoni sentė sč stesso. Uno de' pių geniali amici della sua vecchiaia, il professor Giovanni Rizzi, poeta gentile e sapiente educatore, conservava inedito presso di sč un mirabile Sonetto, composto dal Manzoni nell'anno 1801, il che vuol dire sul fine del suo quindicesimo o sul principio del sedicesimo anno della sua vita. Egli mi permise, per tratto di grande amorevolezza, in questa occasione a me tanto solenne, di levarlo dall'oblio immeritato, in cui rimaneva da settantasette anni. Č, come vedrete, un ritratto fisico e morale che lo stupendo giovinetto faceva di sč stesso; vi č qualche cosa d'ingenuo nell'espressione, ma nel tempo stesso vi si ammira, insieme con una grande e preziosa sinceritā, il felice presentimento di una vita lunga e gloriosa.
     
      Capel bruno, alta fronte, occhio loquace,
      Naso non grande e non soverchio umėle,


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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