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      Si sente già in parecchi versi il fremito di un'anima ardente, ma il paludamento del poeta è ancora tutto classico. Qualche indizio di originalità lo troviamo, appena, in que' passi, ove il poeta abbassa la tonante terzina ad uno stile più umile, vinto dalla propria urgente natura satirica. Egli incomincia allora ad esercitare la più difficile e la più utile di tutte le critiche, quella che uno scrittore intraprende sopra sè stesso, temperando talora l'iperbole di alcune immagini sproporzionate. Dopo avere, per esempio, dantescamente imprecato contro la città di Catania, onde era partito l'ordine regio delle stragi napoletane, dopo aver fatto invito tremendo all'Etna, perchè getti fuoco e cenere sopra tutta la città, il Poeta s'accorge da sè stesso che sarebbe troppo castigo, e che non si può per un solo reo punire tutto un popolo innocente; dominato però da quel sentimento della giusta misura così raro nell'arte, e pel quale appunto egli divenne poi artista così eccellente, modera e corregge l'imprecazione, trasportandola sopra il solo capo della regina Carolina:
     
      Deh! vomiti l'acceso Etna l'ultriceFiamma, che la città fetente copra
      E la penetri fino a la radice.
      Ma no; sol pèra il delinquente; sopraLei cada il divo sdegno, e sui diademi,
      Autori infami de l'orribil'opra.
      E fin da lunge e nei recessi estremi,
      Ove s'appiatta, e ne' covigli occultiL'oda l'empia tiranna, odalo e tremi.
     
      In altri passi del poema pare affacciarsi direttamente il poeta satirico, ossia incominciarsi a rivelare uno de' caratteri più specifici dell'ingegno manzoniano.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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