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      Onde, per esempio, quando il Monti, che apparteneva forse più di ogni altro poeta all'irritabile genus, entrò in lunga briga col mediocre letterato e poeta De Coureil e sostenne contro di lui un'acerba polemica letteraria, gravemente ammonito per lettera dal giovine suo discepolo che quello scandalo gli avrebbe fatto gran torto e diminuito quel prestigio che il Monti aveva sperato invece di accrescere rispondendo al De Coureil, il maestro ne rimase così colpito, che ne fece motto in una sua lettera del 6 febbraio 1805, diretta ad Andrea Mustoxidi, dandogli facoltà di pubblicare, se lo credeva utile, la lettera del Manzoni consigliatrice del partito più ragionevole, se pure non era il più piacevole all'amor proprio ferito del poeta-storiografo delle Alfonsine(18).
      Ma nel 1805, conviene pur dirlo, il Manzoni era già lontano da quel primo entusiasmo, col quale quindicenne, nel Trionfo della libertà, ammirando più che altro la gloria di colui che chiamavano allora il Dante ringentilito, egli aveva glorificato e difeso contro i suoi detrattori il suo maestro Vincenzo Monti. Questo magnifico ed enfatico elogio del Monti fatto dal giovinetto Manzoni merita di venir riscontrato col famoso iperbolico epigramma, col quale ei lo piangeva morto, dopo ventott'anni:
     
      Salve, o Divino, cui largì naturaIl cor di Dante e del suo Duca il canto;
      Questo fia 'l grido dell'età ventura,
      Ma l'età che fu tua tel dice in pianto.
     
      Piacque al giovine Manzoni la gloria del suo maestro, ed è ben chiaro dal fine del saluto del nostro mirabile giovinetto al Monti, ch'egli sperava già o ardeva, almeno, del desiderio di acquistarne una simile:


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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