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      Non è però che di mezzo alle speranze questi non sentisse un'amarezza nel cuore. Ben intendendo che la poesia non può corrispondere nè alle sue origini nè al suo fine, se non opera sulla vita del popolo e della società, scorgeva facilmente, che, per mille titoli, l'Italia non poteva arrivare a tanto. La divisione degli Stati, il difetto d'un centro comune, l'ozio, l'ignoranza, le pretensioni locali avevano arrecato differenze troppo profonde tra la lingua scritta e le parlate. Quella divenne addirittura una lingua morta. Non potè quindi prendere ed esercitare sulle varie popolazioni un'azione diretta, immediata, universale. E così, per una contradizione veramente singolare, la prima condizione in Italia d'una lingua poetica, pura e semplice, era di fondarsi sull'artificio. Il Manzoni sentì assai presto la gravità di questo inconveniente. Egli non poteva contemplare senza un certo piacere, misto d'invidia, il pubblico di Parigi tutto plaudente alla commedia del Molière. Quel vedere un popolo intero che gustava e intendeva in tutte le loro parti i capolavori del genio, come cosa sua, quasi ponendosi in comunicazione con esso, gli pareva un sintomo di quella vita attiva che temeva fosse divietata a una nazione divisa In tanti dialetti. Egli ch'era destinato a riunire un giorno i più eletti ingegni del suo paese in un concorde sentimento d'ammirazione, egli allora non credeva possibile siffatta unanimità, o almeno dolevasi che non potesse partire dal maggior numero. Il Fauriel lo incoraggiava con autorità, e ponevagli sott'occhio molti illustri esempi, anche di scrittori italiani, ricordandogli che tutti, più o meno, ebbero a lottare con difficoltà della stessa specie.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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