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      Nello stesso anno il giovinetto Leopardi componeva una specie di Orazione rettorica e reazionaria, della quale mi fece vedere una copia il marchese Ferrajoli di Roma. Quando verrà pubblicata, se pure a quest'ora non è già pubblica, sarà utile il riscontrare la Canzone del reazionario Manzoni con la prosa del Leopardi, il quale, per quanto intesi, era, alcuni anni dopo, col Nicolini tra quelli che si sdegnavano più forte contro il pietismo manzoniano e contro la sua teoria del perdono delle ingiurie. Il Manzoni nei versi del frammento, per la forma, classicheggia un po' pedestremente; ma ne' concetti egli si rivela moderno, e libero e coraggioso profeta d'un avvenire, intuito e sperato per l'Italia da pochi sapienti:
     
      O delle imprese alla più degna accinto,
      Signor, che la parola hai proferita,
      Che tante etadi indarno Italia attese;
      Ah! quando un braccio le teneano avvintoGenti che non vorrìan toccarla unita,
      E da lor scissa la pascean d'offese;
      E l'ingorde udivam lunghe conteseDei re tutti anelanti a farle oltraggio;
      In te sol uno un raggioDi nostra speme ancor vivea, pensando
      Ch'era in Italia un suol senza servaggio,
      Ch'ivi slegato ancor vegliava un brando.
      Sonava intanto d'ogni parte un grido,
      Libertà delle genti e gloria e pace,
      Ed aperto d'Europa era il convito;
      E questa donna di cotanto lido,
      Questa antica, gentil, donna pugnace,
      Degna non la tenean dell'alto invito;
      Essa in disparte, e posto al labbro il dito,
      Dovea il fato aspettar dal suo nemico,
      Come siede il mendìcoAlla porta del ricco in sulla via;


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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