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      Un braccio vigoroso può bensì levar dal letto un paralitico, ma non dargli la forza di reggersi e di camminare." Per la stessa ragione il Manzoni ammirava la grande impresa compiuta dal generale Garibaldi; ma, quanto più gli appariva meravigliosa, tanto più ei vi riconosceva l'opera del popolo italiano che la secondò: "E mille valorosi condotti, come a una festa, da un valorosissimo a conquistare a questa patria comune un vasto e magnifico tratto del suo territorio, da principio con l'armi, a un'immensa disuguaglianza di numero, come a prova dell'ardire, e poi con la sola forza del nome e della presenza, come a prova della spontaneità dell'assenso." Questa pare a me e deve parere a molti bella e buona sapienza politica; si chiama pure (a dispetto di certe sottigliezze e squisitezze di stile che possono talora apparir soverchie) un parlar chiaro e sicuro, come d'uomo profondamente convinto.
      Il Manzoni ebbe pure la grande fortuna che gli eventi gli diedero ragione. Nel 1848 egli voleva essere più tosto repubblicano con l'unitario Mazzini, che federalista col re Carlo Alberto; del che dolevansi i suoi amici piemontesi, in ispecie il Balbo e l'Azeglio. Quest'ultimo, perciò, scrivendo a sua moglie sfogava un po' di risentimento politico contro il Manzoni ed i suoi amici(53): "Salutami gli amici, Grossi, Manzoni, e di' a tutti che io, a forza di girare, conosco l'Italia più di loro; che non si fan repubbliche senza repubblicani; e di questi non ne ho quasi incontrati in Italia. Di' a Manzoni che, se riesce a far repubblicano Carlo Alberto, non riescirà a far Pio IX. Sarebbe metter in seno all'Italia due serpi che si combatterebbero e lacererebbero loro e lei.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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