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      Voleva bontà ed unità di leggi, liberate dal capriccio; quindi la critica legislativa della sua storia della Colonna Infame, ove, col pretesto di biasimar le antiche leggi, colpisce nella stessa condanna le nuove sommamente arbitrarie dell'Austria. Anche le idee avevano il loro principio, il loro centro d'unità; nel Dialogo sull'Invenzione egli sostiene la dottrina rosminiana delle idee innate, e le fa, per conseguenza, anche se non lo dice, risalire a Dio. Per lo stesso sentimento d'armonia universale, il Manzoni sente l'alto dominio della poesia, che abbraccia in sè l'universalità delle cose sentite e pensate, e la superiorità della poesia alla storia. "È una parte (egli esclama nel suo Discorso sul Romanzo storico) della miseria dell'uomo il non poter conoscere se non qualcosa di ciò ch'è stato, anche nel suo piccolo mondo; ed è una parte della sua nobiltà e della sua forza il poter congetturare al di là di quello che può sapere." La realtà per lui era la base, l'ideale, la corona di ogni edificio poetico; perciò il suo edificio piantato sopra la terra poteva facilmente salire fino al cielo. Per questi supremi diritti concessi alla poesia, il Manzoni, sebbene confessi che ad ogni uomo d'ingegno giova il consenso altrui per assicurarsi delle proprie forze, sentendo sè stesso tanto superiore al volgo da poter talvolta osare di andar contro le opinioni volgari, lasciò pure scritto: "La maggior parte de' poeti, le cui opere sopravvissero a loro, ebbero qualche pregiudizio da vincere, e non divennero immortali se non con l'affrontare il loro secolo in qualche cosa.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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