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      Tutti ricordano il viaggio di Renzo allo studio del dottor Azzeccagarbugli, coi quattro capponi che doveano servirgli di commendatizia. Renzo, agitato dalla viva passione, "dava loro di fiere scosse e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate," al qual punto l'Autore soggiunge: "le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una coll'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura." Quest'osservazione messa lì, come per sotterfugio, è forse più potente, pel suo effetto, di tutto il bellissimo Coro della battaglia di Maclodio, che lamenta le discordie italiane, più potente perchè meno enfatico, e più opportuno, più speciale. Gli esuli italiani che si laceravano, talora, senza pietà, da quelle poche parole erano invitati a pensare. Ed il pensare, in simili casi, è, quasi sempre, un rimediare. Quanta forza satirica in una sola frase manzoniana! La serva del dottor Azzeccagarbugli, per un esempio, sa bene che il suo padrone è così abile, così destro avvocato da far parere galantuomo qualsiasi birbante che si raccomandi a lui; non vi è causa spallata che nelle sue mani non sia diventata buona; perciò, dopo ch'ella serve il dottore, non ha mai visto tornar via il ricorrente co' suoi doni rifiutati; il primo caso è quello di Renzo venuto dal dottore a domandar giustizia contro un prepotente; ma alla serva non può venire in capo che si tratti d'un innocente perseguitato; nel restituirgli dunque le quattro bestie per ordine del padrone, le dà a Renzo "con un'occhiata di compassione sprezzante, che pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fatta bella.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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