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      Amico veroA. MANZONI"
      (51) Sopra la lentezza relativa del Manzoni nel preparare le sue tragedie il Sainte-Beuve ci diede questi schiarimenti: "Il Manzoni, tutti lo sanno, lavorava le sue tragedie lentissimamente. Questa lentezza, che può dipendere da diverse cagioni, come per esempio dalla delicatezza di un'organizzazione nervosa, la quale si può trovare impedita a tener sempre dietro alla fantasia e all'intelletto, questa lentezza considerata in sè stessa non sarà forse cosa lodevole. Ma ciò che sicuramente merita lode, e vuolsi anzi proporre ad esempio, è la coscienza adoperata da lui nel preparare i materiali, e nello studiare gli argomenti delle sue composizioni. Sarebbe difficile il dire quel ch'abbia fatto per l'Adelchi, di cui cominciò ad occuparsi sul serio, dopo il suo ritorno da Parigi a Milano, negli ultimi mesi del 1820. Egli si accinse a studiare da storico, emulando gli uomini, coi quali aveva fin'allora conferito, tutto ciò che potè trovare nelle cronache sulle circostanze della dominazione e dello stato de' Lombardi in Italia. Non leggeva superficialmente tanto da poter riuscire a dare un qualche colore locale, una tinta qualsiasi del Medio Evo ad un'opera di fantasia. No davvero, egli volle vedervi il fondo; si seppellì nella collezione Rerum Italicarum del Muratori, e prese anche famigliarità, com'egli dicea sorridendo, con qualcuno dei 49 grossi complici di Agostino Thierry."
      (52) Il prof. Corrado Gargiolli mi fa noto che una signora, nel dividersi da un giovane che era da lei amato e che si era sposato ad un'altra donna, riaperse l'Adelchi alla scena di Ermengarda morente, e bagnandola delle sue lacrime scrisse all'amante una lettera commovente d'addio.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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