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      Che se consente a scrivere contro gl'Inni Sacri, l'invidia non c'entra.
      Non invidio (egli scrive) il Manzoni, perchè non ho mai invidiato chi segue false immagini di bene e di vero." La critica dell'opera manzoniana fu in parte pubblica, in parte privata. Lo stesso critico della Biblioteca Italiana fin dall'anno 1827 ce ne avverte: "I varii giudizii, che diedero di quest'opera le pubbliche stampe e i privati discorsi, cominciarono a dividersi già sul principio di essa, dove si venne a disputare se le convenisse il nome di romanzo che l'Autore non le aveva assegnato.... troppo oziosa è la disputazione de' nomi, quando il giudizio della cosa stessa non ne dipende. Non manca mai chi voglia seguire l'esempio dell'Addison, il quale, negandosi il titolo di poema epico al Paradiso perduto, solea chiamarlo poema divino; e noi medesimi, quando veggiamo per un sì tenue soggetto così accese battaglie, amiamo ripetere sotto voce la sentenza del poeta persiano: che importa alla rosa che le si cambi il nome, se le rimane il suo usato profumo? E pure lo stesso critico, da principio al fine del suo esame, si mostra incontentabile, fin che conchiude lagnandosi che il Manzoni non abbia frammischiato al suo racconto qualche lirica potente sacra o guerresca o cittadina. Il critico non dovette esser solo a muover questo lamento, e chi sa che non gli tenesse bordone in quell'anno lo stesso Grossi, il quale nel Marco Visconti introdusse poi le sue due più belle liriche.
      Lo stesso critico Zajotti, dopo aver notato come, per cagione dell'abate Chiari, fosse caduto in basso il romanzo italiano, avverte quello che occorreva per farlo vivere onorato: "A cancellare quella macchia, a rimettere nella vera sua sede l'onesto romanzo, era necessario che sorgesse un uomo ricco di qualità rarissime, e troppo difficili ad essere congiunte in un solo.


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Alessandro Manzoni
Studio biografico
di Angelo De Gubernatis
Le Monnier Firenze
1879 pagine 296

   





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