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      - Se non ti levi di lì - esclamò - non potrò fare più nulla.
      - Sarebbe un peccato.
      E, scostatosi, l'Albani si guardò attorno, in cerca di una sedia. L'impresa non era agevole. Un'artistica confusione regnava nello studio, e i drappi dai colori smaglianti, i costumi antichi, i libri dalle ricche legature, gli album di fotografie, le scatole dei colori si ammonticchiavano sopra le quattro o cinque sedie spaiate e di vecchio modello che parevano perdute nella vastità dello stanzone. Solo un teschio mancante delle mascelle troneggiava sopra uno sgabello di legno scolpito, accanto alla mensola rococo. L'Albani si diresse da quella parte, prese il teschio per le occhiaie e si mise a sedere.
      Allora, il silenzio si fece profondo. Nascosto in fondo a un aranceto, invisibile dalla stradicciuola per la quale i carri non potevano passare, lo studio del Natali era un vero romitaggio.
      - Ci siamo! - esclamò finalmente il pittore, dopo una mezz'ora di lavoro silenzioso, e buttati da canto tavolozza e pennelli, levatosi in piedi e indietreggiando di qualche passo con una mano sugli occhi a guisa di visiera, si mise ad esaminare l'opera propria. Luigi Albani lasciò anche lui di misurare in tutti i sensi il cranio che teneva ancora sulle ginocchia, lo posò sulla mensola, vi adattò sopra il suo cappello e si fece incontro all'amico.
      - Dunque, ti piace davvero? - chiese il pittore.
      - È un imbratto.
      Il Natali lo guardò un istante. Poi, scrollando le spalle:
      - Ah, sì; hai ragione! Dimenticavo di parlare col maestro Albani.


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Documenti umani
di Federico De Roberto
Treves Milano
1888 pagine 229

   





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