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      - se profanava il ricordo del loro amore con quella freddezza studiata, con quel tono di filosofica rassegnazione, con quelle allusioni indiscrete... E non un accenno alla enimmatica rottura che lo aveva mortalmente ferito; non una spiegazione - nè data, nè chiesta!... E diceva di temere che egli non avrebbe riconosciuto il carattere di lei, mentre, appena scorta la lettera, gli era mancato il respiro! E diceva di sapere che egli si era divertito, mentre quell'imagine gli era stata sempre inchiodata nel cuore, come un rimpianto, come un rimorso, come l'aspirazione di tutta la sua vita!... Ma, dunque, era realmente mutata quella donna, o era stata sempre ad un modo e soltanto la sua fantasia di innamorato ne aveva fatto un ideale?...
      Carlo Landini scrollò le spalle, sedendo a tavola. Il suo romanzo era finito, definitivamente; e quella lettera ne rappresentava l'epilogo prosaico e volgare.
      - Un romanziere non avrebbe nessun partito da trarne! - si diceva egli mentalmente, e non pensava che i romanzi veri, i romanzi fatti nella vita e non ideati per amore dell'arte, finiscono quasi sempre così.
     
     
     
      L'ORGOGLIO E LA PIETÀ.
     
      Dall'uscio spalancato della stanza, l'occhio dominava la ripida caduta della costa e si perdeva nell'infinito del cielo e del mare. I tre commensali, seduti attorno alla tavola mezzo sparecchiata, tacevano, assorti in una profonda contemplazione, e leggermente inebriati, più che dal vino di fuoco che un raggio di sole accendeva nei bicchieri, dalla vista grandiosa, dalla intensa e quasi ipnotica fissazione del perduto orizzonte.


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Documenti umani
di Federico De Roberto
Treves Milano
1888 pagine 229

   





Landini