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      . Io mi riscuoteva in soprassalto come da un sonno, e zio diceva:
      Lascialo stare, quello pensa". Io mi facevo rosso, perché al dir che io pensavo mi pareva una bugia. Io stavo cosí concentrato sotto il peso delle mie letture, che mi riempivano il cervello di fantasmi, e non mi lasciavano quieto. Nel mio cervello si formava come un mondo luminoso, nel quale vedevo quei fantasmi come persone vive, e sentivo le loro parole distintamente. E dimorando tutto dentro, non sentivo e non vedevo niente intorno a me. Quei fantasmi generavano altri fantasmi, ed io mi facevo il protagonista della storia, ed era sempre re, imperatore o generale, e davo di gran battaglie, con sapienza di apparecchi e di movimenti, e spesso questi sogni ad occhi aperti duravano piú giorni.
      Un giorno ch'era l'ascensione, e l'uso era di mangiare i maccheroni con il latte, mi levai di tavola subito e assai prima degli altri, come soleva fare, perché divorava, non mangiava, e non sapeva cosa mi metteva in bocca. E andai difilato nell'ultima stanza con la testa piena. C'era nella testa la battaglia fra Tancredi e Argante, e Tancredi ero io, e presa in mano una squadra da compasso, assaliva vigorosamente Argante, e lo gittavo rovescio per terra, e mi pareva di montare sulle mura di Gerusalemme, e mi trovai sul davanzale della finestra col braccio teso in fuori agitando la squadra. Sul balcone dirimpetto stava una signorina che al vedermi cosí levò un gran grido, ed io come risvegliato scesi. A quel grido corsero mio cugino e la zia e mi videro scendere, e riferirono tutto allo zio, il quale comandò fossi condotto innanzi a lui.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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