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      Ma non ci fu verso. Io per vergogna m'ero chiuso nel licet, e non volevo uscire. Allora venne lo zio dentro, e mi tirò per il braccio, e disse afferrandomi per l'orecchio: "Ciccillo, oggi tu sei rinato; ricordati questo giorno". E in verità, questo giorno dell'Ascensione non mi è uscito piú di mente. Un'altra volta innanzi a un uditorio scolastico rappresentammo una cosí detta tragedia, che non era altro se non scene staccate del Tasso da noi impasticciate e declamate, e l'autore di questo bel pasticcio ero io, e molti erano i complimenti e le strette di mano, e io mi pigliavo tutto con l'aria di chi crede di meritare ancora di piú.
      A farla breve, in quei cinque anni di corso sapevo a mente una gran parte di Virgilio, di Livio, di Orazio, della Gerusalemme Liberata e dei drammi di Metastasio, oltre un'infinità di frasi e di pezzi staccati dai molti libri che si erano studiati. Dalle letture particolari mi veniva un'enorme quantità di notizie, di aneddoti, di sentenze, tutto rimescolato cosí a casaccio nel mio cervello. Non c'era ancora un giusto criterio per distinguere l'utile, il bello, il vero, l'importante. In quella farraggine entravano con pari dritto anche le cose piú goffe e piú volgari. Le Notti di Young, le tragedie di Voltaire, la Sofonisba del Trissino mi parevano cose grandi. Soprattutto ero molto innamorato delle Notti di Young, e recitavo con grande enfasi i pezzi piú romorosi. Avevo in capo un materiale enorme indigesto, che mi faceva l'effetto d'una grande ricchezza, e mi credevo da senno il piú dotto uomo d'Italia, e avevo appena quindici anni.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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