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      Ci fu un gran dire. Zia Marianna canzonava la mamma di quelle sue maniere semplici paesane, e strepitava che la era una rozza provinciale, e che non capiva la moda; e non voleva a nessun patto gliela togliessero via. Mamma non aveva la zia in odore di santità, e trepidava a lasciarle in mano la piccina; era una buona donna, di costumi austeri, e non voleva orpelli né vanità. Vinse l'autorità materna, e riebbe la figliuola. Quella breve dimora in Napoli non le fu utile. Venne tutta gentile, aggraziata di modi e di parlare, spigliata e maliziosetta. Io la guardavo con gli occhi rotondi e fissi, e non sapevo staccarmi da lei; e lei mi prendeva in grembo e mi dava baci, e mi faceva girare come una pallottola. Anche mamma faceva bocca da ridere a vederla ballare tanto carina. Quando toccò a me di andare in Napoli, voleva menarla meco; mamma non volle, e io piansi assai. Nelle mie lettere al babbo c'era sempre una riga per Genoviefa. Quando narravo tra molti vanti le mie vittorie scolastiche, dicevo spesso: lo saprà Genoviefa e le farà piacere. La sua immagine riempiva la fantasia, e si mescolava con la mia vita quotidiana. Ero giunto verso la fine del quinto anno di studio. Avevo sempre tra mano le Notti di Young, che mi facevano piangere, stupire, ammutire secondo la materia, mi percotevano e mi commovevano. Quando Young lamentava la morte della figlia, che si chiamava Virginia, io lacrimava con lui. Non so come, pensando a Virginia, mi veniva innanzi Genoviefa: cosí bella me la dipingevo e cosí cara cosa.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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