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      Questo era il mio corredo di erudizione filosofica verso la fine dell'anno scolastico, quando zio ci diceva: "Ora bisogna cercarvi un maestro di legge". Si batteva già alle porte della Università.
      Venne il settembre e zio veggendomi cosí scheletrito, volle farmi bere un po' d'aria nativa. Andammo zio Pietro, Giovannino ed io. Non sapevo di amar tanto il mio paese. Quando di sopra la via nuova vidi un mucchio di case bianche, mi sentii ricercare le fibre, non so che nuovo mi batteva il core. Poco piú in là vedemmo non so quali punti neri. "Sono galantuomini che ci vengono incontro", disse zio Pietro. Scesi di cavallo a precipizio, e corsi, ed essi corsero a me, e mi trovai tra le braccia del babbo. La sua faccia allegra e rubiconda raggiava, era tutto un riso, e gli pareva essere cresciuto di altezza, tenendo per mano Ciccillo, e mi presentava tutto glorioso. Nonna non c'era piú. La mamma mi venne incontro sui gradini di casa, e mi tenea stretto al seno e piangeva e non sapeva staccarsi da me. La casa fu piena di gente. Molte le strette di mano, molte le carezze e i baci. Ma io m'era seccato, e cercava con gli occhi le compagne e i compagni, mi sentiva un piccino di nove anni, come quando li lasciai. Costantino alto e robusto, mi levò sulle braccia, dicendo: "Come sei fatto brutto!" Era un piccolo gigante quel Costantino. I miei gusti non erano mutati. Abbracciai Michele, il contadino, venuto su rude e saldo, come una torre. La distinzione delle classi non mi è mai entrata in capo.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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