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      Contadino, operaio, galantuomo, gentiluomo, questo per me non aveva senso. Trattava tutti del pari, e usava il tu, il voi e il lei non secondo le persone e il grado, ma come mi veniva, cosí a casaccio, e spesso alla stessa persona dando del tu e del lei.
      La sera ci fu gran pranzo, coi soliti strangolapreti, e il polpettone, e la pizza rustica e altri piatti di rito. Il dí appresso visitai tutti i luoghi dov'era passata la mia fanciullezza. Fui nel sottano, e dove si ammazzava il porco, e dove era la mangiatoia pei cavalli, e dove tra mucchi di legna o di grano solevo trovar le uova ancora calde e portarle alla mamma. Quel sottano sonava ancora dei miei trastulli fanciulleschi. Poi sbucai nell'orto, e salii il fico e mi empii di ciliege, e feci alle bocce o alle palle, correndo, schiamazzando. Ero in piena aria, in piena luce, mi sentivo rivivere. Dopo il pranzo feci la passeggiata per la via nuova, tra compagni e compagne. Mariangiola mi teneva per mano, una bella giovinotta un po' piú grandicella di me, e io mi lasciavo fare, e mi veniva l'affezione. Giungemmo alle Croci, che è un piccolo monte, storiato della passione di Cristo, detto perciò anche il Calvario. Alle falde era il Cimitero, una camera tutta biancheggiata, entro cui erano addossate le ossa degli antenati. Mi sentii un freddo, e pensai a Genoviefa, e m'inginocchiai innanzi all'inferriata, e piansi piansi, e dissi molti Pater e molte Ave.
      Verso la sera, fatte molte visite, ci disse zio Pietro che ci voleva far conoscere D. Domenico Cicirelli.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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