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      Non c'erano conferenze, cioè a dire discorsi lunghetti e seguiti, dove si distinguesse l'ingegno. C'era lí una serie di domande e di risposte, alle quali prendevano parte tutti, e i piú pronti toglievano la parola agli altri, e ne veniva un vocío ingrato. In quella presa di assalto della parola mi sentivo soverchiato, e stavo lí stizzoso, perché sentivo che avrei risposto meglio di quello sfacciato che mi troncava la parola in bocca. Talora, quando nel mondo mi vedevo soverchiare da certi presuntuosi ignoranti, pensavo alle conferenze dell'abate Garzia. Costui non prendeva troppo sul serio il suo ufficio, e chi non voleva studiare, non perciò si guastava la bile, e faceva un'alzatina di spalle, come volesse dire: "Tanto peggio per te".
      Io continuava i miei studi filosofici, che mi piacevano assai, e poco teneva dietro a quella congerie di regole e di fatti, di cui il maestro non diceva le ragioni. Non fu possibile mettermi in capo la Procedura. Lessi molto il Digesto, come una bella collezione di massime e di sentenze, e ne presi occasione a rinvigorire il mio latino. Dove cominciai a vedere un po' di luce, fu nello studio del Codice Civile. Lessi con infinita curiosità i motivi che l'inspirarono; e quando parlava Napoleone mi appariva in una grandezza buia, che mi faceva terrore. Lessi molti commentatori francesi allora in fama, come Toullier, Delvincourt, Duranton.
      Come suole avvenire, si strinse una certa amicizia con alcuni compagni piú simpatici, e si disputava molto di filosofia e di dritto civile.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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