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      Con la foga del novizio divoravo da un capo all'altro un libro intero, e non ristetti, finché non ebbi sfogliati un gran numero di quei volumi. Invano Costabile gridava, che si dovesse leggere con ordine e notare i piú bei modi di dire. Prima di darci un libro nuovo, voleva vedere il quaderno del libro letto. Io voleva ch'egli credesse alla mia parola; e quando si ostinava, improvvisava un notamento di frasi da un giorno all'altro. Talora mi faceva il tiranno, e io che poco credevo alla sua divinità, andavo lacrimoso dal marchese e me ne richiamavo con lui. Nella mia malizia cercavo qualche motto o parola o frase ch'era in grazia del marchese, ed egli andava in sollucchero, e mi diceva: "Bravo!". C'era tra i giovani una gara a chi salisse piú in grazia del marchese; i piú diligenti andavano a lui anche il mattino; si chiacchierava, si leggeva, si copiava, si correggeva errori di stampa; io ci avevo acquistato l'occhio, e il marchese mi voleva presso di sé il mattino per la correzione dei Fatti di Enea, ristampati e annotati da lui.
      Il regno di Costabile durò poco; si seccò dell'ufficio, e il marchese si seccò di lui, che andava ricalcitrando con moti d'impazienza. Successe l'abate Meledandri, un pugliese falso e astuto, che s'insinuava come serpente, lisciando e adulando, e s'imponeva con arroganza ai minori. I compagni l'odiavano di gran cuore; ma nessuno fiatava per tema del marchese che l'aveva caro per quel solo fare ipocrita di Madonna con gli occhi bassi.
      Io non gli avevo invidia, perché mi pareva troppo alto; ma sentivo per lui una grande antipatia.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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