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      La mattina, appena mi reggevo in piè. Ero stato sempre raggomitolato in un cantuccio, con la mano sulla fronte, come estraneo a quella scena. Quando il freddo mi poteva, camminavo in fretta, e mi parlavano e non sentivo, ero assorto nel mio dolore, tormentato dal pensiero della famiglia: "Che avrà detto lo zio? povero zio!" Le lacrime mi tremavano negli occhi. Quel D'Amore aveva sparso ch'io poteva molto sul marchese Puoti, e che quella era la via della liberazione. Ed eccoli intorno a me, e io scrissi una bella lettera al marchese, narrando il fatto e dichiarando tutti innocenti. Si promise una bella moneta a uno di quei birboni, e la lettera fu portata. L'ansietà era grande; si contavano i minuti; carcerieri e carcerati sogghignavano, portando false notizie; ora era un prorompere di gioia, ora un impallidire mortale; e intanto la nota s'ingrossava. Ciascuno aveva scritto alla sua famiglia; e un po' di moneta circolava, appariva e spariva; l'ingordigia di quei bricconi era una botte senza fondo. Ed ecco si sente come un grande spalancare di porte: "Cosa è nato? sarà un noioso carcerato, sarà la grazia. Sí e no". Il custode si accosta gravemente e dice: "Chi è tra voi il signor De Sanctis?" "Ecco", - diss'io. - "Lei può andar via". "Come? come? lui solo?" fu il grido di tutti. E seguitavano che una era la causa, e se usciva uno, dovevano uscir tutti, e che la non andava cosí, e volevano ragione dal custode, come fosse lui il re. E vollero ch'io non uscissi, e che riscrivessi al marchese.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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