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      Io non era buono a parlare di altro che di studi, e mi ci riscaldavo e gridavo forte e gestivo ancora piú, a gran sorpresa e noia del mal capitato, che andava via pensando: costui è troppo grand'uomo per me. I discorsi di moda e di avventure galanti, i sozzi parlari mi seccavano: giungevano appena al mio orecchio. Anche quel parlar dei fatti altrui, quel contare le scempiaggini o le monellerie di questo o di quello mi trovava distratto.
      I momenti piú deliziosi li passavo nella scuola del marchese. Pochi andavano via; c'erano sempre nuovi venuti; la discussione de' lavori mi allettava; la lettura era sempre di cose nuove; piú che una scuola, pareva quello un trattenimento letterario; era una varietà, quasi uno svago nella monotonia della mia vita. Il marchese s'era un po' infastidito de' novizi e si volgeva piú volentieri agli "Eletti" e agli "Anziani"; la moltitudine ci stava come gli spettatori nella platea. Cominciavano i trecentisti a esser messi in disparte; si venne al Quattrocento e al Cinquecento e anche un po' al Seicento. Quelle letture fatte alla buona, accompagnate dai gesti e dalle esclamazioni del marchese, facevano in me una impressione incancellabile. Non avevo letto ancora nulla del Poliziano; una sera furono lette alcune delle sue ottave con ammirazione di tutti; il marchese non potea stare fermo e dava di gran pugni sul tavolo; anche oggi mi sta nell'orecchio quella musica che ci rapiva tutti, maestro e discepoli. Il Boccaccio e Dante e il Petrarca erano "serbati per le frutta", come diceva il marchese, e voleva dire che s'avevano a leggere in ultimo.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Quattrocento Cinquecento Seicento Poliziano Boccaccio Dante Petrarca