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      E s'era sempre da capo, lui con la sua noia e io col mio dispetto.
      Intanto lettere mi venivano da babbo, da mamma e da zio, atterriti dalle voci del colera, che giungevano in paese, e mi chiamavano, e me ripugnante sgridavano e incalzavano. Io non voleva, e per una cotal sciocca braveria, e perché non voleva lasciare a mezzo le mie lezioni, parendomi fare quasi atto di disertore. Alfine cedetti alle grida di mia madre, e mi risolsi di andar via. La sera fui dal duca. Erano già parecchi giorni che infuriava di piú il colera, e il duca, per non sentirne a parlare, s'era fatto taciturno e solitario. Giunsi io con un'aria imbarazzata, che annunziava qualche cosa di grosso. "Cosa c'è?" disse lui. "C'è che.." "Insomma, vi sentite male?" interruppe lui, che mi vedeva cosí smilzo e con la faccia del colera. Io balbettava, cercando le parole, e che doveva per un mese allontanarmi, e che mia madre mi voleva, e che sarebbe stato per poco... Ma egli appena mi udiva, e non capiva niente. "Andate, andate", diceva, con l'aria di chi mormori tra' denti: Che il diavolo ti porti! "E come? - diceva il duca, tirandosi indietro, - siete in questo stato e venite a casa mia?" Io lo pregai a volermi permettere che prendessi commiato dal figlio; egli non disse di no, ed io entrai. Il giovinetto ebbe assai caro di sapere che quella sera non c'era lezione, e quel mesetto di vacanza in prospettiva me lo rese amico: mi strinse la mano, e mi promise di scrivermi, e mi fece molte cerimonie. Mai non mi aveva usato tanti riguardi il bricconcello.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249