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      M'era venuto in capo, disperato com'ero dello zio Carlo, che forse zio Peppe potesse ristorare le sorti della casa, venendo in Napoli e dirigendo lui la scuola. Avevo un po' gelosia di mio cugino che s'era avviato per il foro: e perché non io pure? Poi, quel maestro di scuola mi sonava cosa miserabile nella mente piena di Demostene e di Cicerone, e sognavo trionfi con la toga indosso, come antico romano. Non mi spiaceva perciò che zio Peppe stesse lí a fare le cose di scuola, e ch'io entrassi in pratica, come Giovannino. E scrissi a zio Peppe che gli avevo trovato una buona lezione, e gli dipingevo il suo nuovo stato coi piú bei colori. Ma non voleva muoversi, e mettersi negl'impicci. Forse aveva fiutato ch'io voleva caricar lui della soma che stava addosso a me; ma il disegno pareva bello a zio Pietro e a zio Carlo, che ci vedevano uno scopo. Però quegli stette duro, e allora tornarono alla carica e chiedevano la loro porzione. Sí e no; gli animi s'inasprirono, e zio Peppe scriveva a zio Carlo che gli piaceva di fare il vezzoso, e questi rispondeva all'altro che gli piaceva di fare l'indiano. Tra i due si ficcava zio Pietro, che gridava di non poter tollerare che la sua porzione andasse a benefizio dei terzi. Questi propositi si tenevano talora innanzi a me, che mi facevo verde. "Anch'io voglio la mia porzione", scriveva l'uno. "Voi rovinate la famiglia", rispondeva l'altro. "Ciccillo è che rovina la famiglia". "Ah! quel briccone di Ciccillo; gli scrivo subito". "Zio Peppe, volete andare a Santo Jorio?


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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