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      A quei tempo erano in gran voga gli studi filosofici, e il marchese, seguendo la moda, volle filosofare anche lui, e dava alle sue ricerche un aspetto e un rigore di logica, ch'era veste e non sostanza. E non gli sarebbe mancata la berlina; ma lo salvò un certo suo natural buon senso. Facendo olocausto delle sue pretensioni metafisiche, si limitò a quella parte letteraria, nella quale aveva esperienza e autorità. Intanto, alzando l'animo agli studi rettorici, se ne rimetteva a me per gli studi di lingua e di grammatica, e in poco di tempo il numero dei giovani miei crebbe tanto che facevano ingombro nelle sale del marchese. Egli, serbati per sé i migliori e i piú anziani, ai quali dava lezione tutte le domeniche, mi trovò una sala al Vico Bisi, nella quale veniva la moltitudine. Cosí cominciò la mia scuola sotto il suo patronato.
      Un lunedí andavamo, il marchese e io, per via Maddaloni, ed eccoci di contro un tal S. da Lecce, fresco fidanzato d'una giovane e bella nipote del marchese. Costui, con la familiarità insolente dei giovani patrizi ineducati, presa la mano del marchese, mi sbirciò dicendo: "Ah! il professorino". Questo nome, che il marchese mi soleva dare cosí per vezzo, diveniva in quella bocca e su quella faccia un dispregiativo. "Un professorino!" disse il marchese, piantatosi fieramente, come se l'offeso fosse lui, e guardandolo con occhio severo. Quella guardata l'amico non se la sarà dimenticata piú. Un "oh!" lungo e sgraziato fu la sua risposta. E volle accompagnarci.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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