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      I miei eroi erano Molé, Guizot, Berryer, Montalembert; ma il mio beniamino era Thiers. La sua Storia della rivoluzione francese mi aveva ubbriacato; quel suo dire didattico e insinuante mi rapiva. C'era nella sua maniera non so che di maestro di scuola, un voler spiegar le cose, senz'aria però di pedagogo, anzi facendosi piccino per meglio conquistare i suoi uditori. Sentivo in lui confusamente qualche cosa che rispondeva alla mia natura. Il mio genio mi tirava sempre all'opposizione, alla minoranza. Avevo poca simpatia però con l'enfasi nebulosa di Odilon Barrot, e con gl'impeti a freddo di Ledru-Rollin. Stavo cosí profondato in quelle letture, che non vedevo altro, non udivo niente. Non era già un'attenzione letteraria solamente; io ci portava un'emozione e una passione, come fossi un francese, e mi trovassi lí, e prendevo parte per l'uno o per l'altro. Giunto appena nel Caffè, la mia impazienza era vivissima, e, mentre bevevo, divoravo già con gli occhi il giornale. Quei maledetti vecchi negozianti mi facevano crepare di rabbia con la loro flemma. Quando prendevano un giornale, non lo lasciavano piú. Io mi rodevo e dicevo tra me: "Pezzo d'asino! mi pare quasi che stia lí compitando le lettere". Altro che mezz'ora! Io contavo i minuti, e mi pareva che stessero lí le ore intere.
      Un giorno vidi uno di quei cotali, e mi presi in fretta il giornale, mentre bevevo il caffè. Egli notò la mia manovra, si accostò gravemente, e disse: "Pardon", e si riprese il giornale. Io non ci vidi riparo, e lo lasciai fare.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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