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      Certo era un progresso, e io ne dava lode ai nostri del Cinquecento e ai francesi, i quali ponevano la spiegazione della regola ora nella derivazione da lingue precedenti, ora nell'uso dei buoni scrittori, e ora nell'uso vivo del popolo, e cosí ne tiravano notizie utili e ragioni plausibili. Ma questo agli occhi miei era una storia, non una scienza; e cercavo la scienza al di sotto delle forme, nel movimento immutabile delle idee, dei giudizii e del discorso. Cosí trovavo nella logica il fondamento scientifico della grammatica; e finché mi tenevo nei termini generalissimi di una grammatica unica, come la concepiva Leibnitz, il mio favorito, la mia corsa andava bene. Ma mi cascava l'asino, quando veniva alle differenze tra le grammatiche, spesso in urto con la logica, e originate da una storia naturale o sociale, piena di varietà e poco riducibile a principio fissi. Per trovare in quella storia la scienza, si richiedeva altra cultura e altra preparazione. Nella mia ricerca dell'assoluto, avrei voluto ridurre tutto a fil di logica, e concordare insieme derivazioni, scrittori e popolo; ma, non potendo sopprimere le differenze e guastare la storia, ponevo l'ingegno a dimostrare la conformità del fatto grammaticale con la logica, della storia con la scienza. Chi vinceva avea sempre ragione; e coi piú sottili argomenti dimostravo la ragione della vittoria.
      Anche nel metodo volevo la scienza; e metodo scientifico era non l'arbitrario succedersi delle cose, secondo i preconcetti di questo o di quello, ma la cosa stessa nel suo movimento naturale.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Cinquecento Leibnitz