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      Io non ammetteva la irregolarità e le eccezioni, e pretendeva che il mondo andasse sempre diritto: altrimenti, dov'era la scienza? Se allora avessi conosciuto Hegel, avrei battezzato per accidente tutto quello ch'era fuori della scienza; ma non ero abbastanza ingegnoso, e volevo per forza tirare nei confini della scienza tutti i fatti grammaticali. Non ammetteva che la sintassi fosse una parte distinta della grammatica. Col mio metodo genetico, io li faceva uscire naturalmente dalle analisi fatte, ricomponendo per virtú del verbo, e passando, con moto celere e trionfante, alle proposizioni, ai periodi e al discorso. La mia grammatica era un andare su su dalle parti piú semplici verso il discorso, il grande risultato della scienza, il principio e il fine. Di questa grammatica non mi è rimasta che una vaga reminiscenza. I giovani facevano un sunto delle lezioni, e un sunto da me corretto era il "libro della scuola", come lo si chiamava. Uno di questi sunti mi è venuto alle mani, per gentilezza del signor Tagliaferri, allora mio discepolo. Poco ci ho capito: già con questi occhi malati poco capir posso. Oh! come questi sunti mi paiono pallidi dirimpetto a quelle lezioni nelle quali compariva tutta l'anima. Avevo preso per costume di non ripetere mai un corso, e perciò quella grammatica rimase boccheggiante cosí come era stata abbozzata una volta, uno schizzo piú che un disegno finito, rimasto lí in aria, mentre io, incalzato da nuove aspirazioni, metteva mano ad altri lavori. Pure, fu tanto l'entusiasmo grammaticale mio e dei giovani miei, che moveva quasi il riso, e ci chiamavano per ischerno "i grammatici", come chiamavano "linguaiuoli" o "frasaiuoli" gli scolari dei Puoti.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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