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      Passai la sera in casa Isernia, e mi sfogai ben bene con donna Rosa e donna Maddalena, due zitellone, tutte paternostri, che per giunta mi facevano la predica e accusavano la mia poca vigilanza. Rimasi per due giorni balordo, con gli occhi asciutti, senza forza di pensare a nulla, e quando mi si parlava del fatto, mi era trafittura. Al terzo o quarto giorno, ritirandomi, ch'era già ora tarda, veggo scendere dalle scale un signore, e io, miope e per solito frettoloso nell'andare, lo investo e ci trovammo muso a muso. Era il babbo. Le lacrime da lungo tempo compresse scoppiarono con abbondanza. Egli cercava calmarmi, chiamandomi coi piú dolci nomi, e pigliandomi la mano. Mi narrò che quel disgraziato s'era fuggito di casa con un tal don Raffaele, che lo spogliò per via e lo abbandonò. Cosí solo, a piedi, senza un quattrino e affamato, giunse in paese. Le circostanze del suo arrivo e le sue risposte confuse mossero il babbo a venire da me per sapere il netto. Fu questa una crisi terribile nella mia vita. Non me ne sapevo persuadere, né consolare. Quel fratello s'era perduto senza rimedio, e mi prese un dolore profondo a considerare quella leggerezza e quella ingratitudine. Era la prima volta che dalla famiglia mi veniva una puntura cosí acerba. Quanto piú alto e puro era il mio ideale della vita, tanto mi appariva piú riprovevole quella condotta.
      Aggiungi a queste angosce del cuore la vita faticosissima, quasi senza riposo. La mattina ero al Collegio militare; verso sera andavo a scuola; gl'intervalli della giornata erano riempiuti dalle lezioni private.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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