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      - Tu stai benone, via! vuo' farmi il malato di Molière?" Poi, mi guardò in viso, e, vedendo che stavo lí non persuaso, aggiunse: "Dimmi, leggeresti forse qualche libro di medicina?" Gli narrai tutto, con semplicità uguale all'ingenuità. Il medico rise molto, e, accarezzandomi il mento, disse: "Gitta al foco tutti questi libri di medicina". Mi confortò piú quel riso che quelle parole, e tornai a casa rassicurato. Ma pochi giorni di poi mi venne all'orecchio una notizia che mi atterrò. Il povero medico faceva l'amoroso con una giovanetta, figlia del Ronchi, medico di Corte. E faceva l'amoroso come si soleva in Napoli, in istrada, a chiaro di luna, guardando, facendo gesti con la bella al balcone. Una di quelle sere che il freddo era grande, stando cosí al sereno, gli furono attaccati i polmoni, e cosí quel meschino, che rideva con me del mal sottile, moriva pochi dí appresso di mal sottile. Il fatto mi contristò assai. Non mi pareva vero di non dover piú incontrare per via quel giovanotto gaio e spigliato, che ammiccava di qua e di là le ragazze, e, vedendomi, diceva subito: "Come stai? Io sto benissimo".
      Il fatto è ch'io era malato per davvero, malato di esaurimento, o, come si direbbe oggi, di anemia. Me ne fece avvertito una ragazzotta robusta come una contadina, con la quale talora ci vedevamo sopra un terrazzino a pianterreno, che metteva nella sua casa. Era conoscenza vecchia, e ci trattavamo alla buona e senza malizia. Ella mi diceva spesso che i miei occhi erano amorosi, e io non capivo e non rispondevo a tuono.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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