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      Questi fatti avevano generato mali umori, e il povero vecchio menava in famiglia giorni annoiati e malinconici. Il suo umore vivace e allegro mal vi si piegava, e divenne violento e talvolta manesco. Io pensai di chiamarlo a me e alleviargli la vita. M'era anche una buona compagnia allegra.
      In quel maggio mi separai da Enrico e presi casa in via Rosario a Porta Medina, numero 24. La casa era bene aerata e piena di luce; c'era un salotto molto capace, dove pensai di tenere la scuola. Quell'andare e venire da San Potito a vico Bisi, mi annoiava fieramente. Poi mi pareva maggior dignitŕ avere la scuola in casa. Diedi una bella stanza da letto a zio Peppe, e io mi rannicchiai contentone in uno stanzino oscuro. Quel bravo marchese non tenne a vile di venire in casa mia tutti i mercoledí per la traduzione, e io non pensai punto che gli potesse dispiacere, cosí eravamo uniti di spirito.
      Zio Peppe era di conversazione piacevole, franco, impressionabile, di primo moto. Portava assai bene la sua sessantina: alto e corputo, quasi gigantesco, e quando poneva sul suolo quelle gambe rotonde e piene, il suolo pareva gli tremasse sotto. Aveva una bella testa, sempre ritta; il viso rubicondo e gli occhi arditi; la cera benevola e l'anima piena di affetto. Facile all'ira, si calmava subito. Coltura e ingegno non ne aveva molto, e stava innanzi a me con qualche soggezione. Gli piaceva un buon bicchier di vino; andava in brio e ciarlava volentieri delle sue gesta, e, quando vedeva spuntare me, diceva: "Zitto, che viene Ciccillo". Io era il suo contrapposto: severo, di poche parole, non facile ad aprirmi; del resto, lo sentivo assai volentieri.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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