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      La tribuna francese non era estranea a questo rialzo dello spirito. Ci aveva contribuito il ministero Thiers, dal quale si aspettavano grandi cose per la libertà dei popoli, e quel rumor di guerra, entro il quale s'inabissò il Thiers, fu accolto dalla gioventú con molta speranza. Ma venne Guizot, e addio! Thiers aveva una faccia che ci sorrideva; Guizot, ci parve un brutto ceffo. Queste speranze, timori, opinioni, congetture, immaginazioni, mormorii politici erano in una cerchia assai ristretta. I piú non ci pensavano e badavano ai casi loro, salvo in certi chiari di cielo, quando la voce si faceva un po' piú alta. Io per esempio ero tutto grammatica e lingua; Enrico era tutto nello studio di Vico: alla politica ci si pensava per parentesi, e piú o meno, secondo i casi e gli accidenti del giorno. Ma la politica era il chiodo di zio Peppe, che lo martellava e lo faceva scattare; e non si guardava mai intorno, e tra compagni e amici le sballava grosse. Si vantava carbonaro; gridava contro il tradimento di Francesco e del Carignano; ci narrava spesso del De Conciliis, gloria, diceva, della nostra provincia; raccontava il suo esilio, tramezzando le sue pene e i suoi sdegni con aneddoti piccanti: ch'era venuto in grazia a certe monache, e che aveva loro pagata una lauta messa, e contava di certe amicizie di setta, e conchiudeva sempre con quel tale Dies irae. Questo ci faceva ridere, ed egli ci si arrovellava e lanciava i pugni in aria. Io lo sentiva come in un'accademia; non m'era venuto in capo che sotto ci fosse niente di serio.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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