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      Io ero un juste milieu. E non pensavo a questi o a quelli, pensavo a dire il vero. La mia mira non era punto a surrogare il Puoti ed a porre innanzi il mio personcino; anzi io avevo sempre il suo nome in bocca, e avevo l'aria di spiegare le sue dottrine, di essere il suo interprete. Però volevo che quelle dottrine fossero purgate da quelle esagerazioni che si attribuivano al marchese, e, cosí facendo, credevo difenderlo dai suoi avversari. Perciò le mie temerità mi erano perdonate volentieri, e io mi applaudivo di aver trovato modo di piacere al vero senza dispiacere a lui. In questo c'era un po' di malizietta inconscia, ma anche la mia natura, lontana dalle piccole passioncelle di pensiero e di linguaggio. Una sera feci una lunga lezione sul modo di arricchir la lingua senza corromperla, dove i puristi pretendevano che la lingua fosse già ricca, anzi troppo ricca, e non si dovesse pensare che a purificarla. Io chiamava costoro falsi puristi, che guastavano la loro causa, e difendeva e glorificava il vero purismo. Cosí piú tardi ci furono anche i veri e i falsi liberali. Terminai quella lezione con un panegirico del vero purismo, che non si arresta al Trecento, e non mette le parole in cima al pensiero, e non imita gli arcadi e i retori. Andavo innanzi, tonando contro i calunniatori, che accagionavano i puristi di quello che si potea dire al piú degli ultra-puristi o falsi puristi.
      Il dí appresso fui dal marchese, com'ero solito, e vi trovai Gatti, Cusani e parecchi altri. La scuola del marchese non era quasi piú altro che una conversazione rumorosa ed allegra, nella quale si ciarlava di tutto, a cominciare dalle novelle del giorno.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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