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      Sospesi anche, sotto questo o quel pretesto, il calunniato mio corso; ma i giovani non potevano star saldi, e facevano atti d'impazienza, e dicevano: "Professore, e il corso? Quando ricominciamo il corso?" C'era pure qualche sentore della scena avvenuta in casa del marchese. Io feci come il cantante che si fa pregare; parevo spinto da loro, ma ci avevo il mio gran piacere.
      Base del mio corso era non la purità, ma la proprietà. Le forme erano per me dei fenomeni, di cui cercavo la spiegazione nel loro significato, ch'io chiamavo il contenuto. Un tal modo di considerare la lingua era tutt'una rivoluzione, di cui io stesso non capivo la portata. A questo modo la lingua, come la grammatica, aveva un metodo nuovo, e conduceva a nuovi risultati. Dal senso proprio passai al traslato, e ridussi tutti i traslati o tropi di cui una lista infinita e arbitraria era nelle rettoriche, in due sole categorie, traslati di estensione e traslati di comprensione. Io mi andava baloccando tra il Cesarotti e il Dumarsais. Avevo un immenso materiale, che andavo volgendo e rivolgendo a mia posta; non ero sistematico, anzi abborrivo dai sistemi: ciascun sistema era per me una esagerazione, e andavo navigando tra loro con la mia bussola, nella quale avevo molta fede, ed era un certo buon senso, una dirittura di giudizio, che mi rendeva sicuro di me. Il mio cervello era una fabbrica di teorie, e mutando il punto di partenza, capovolgevo la base, dilettandomi di foggiar sistemi nuovi a mio comodo. Con giovanile audacia mi ponevo facilmente giudice tra gli autori, menando sferzate di qua e di là. Il mio studio era volto principalmente a ridurre le varie esagerazioni nella giusta misura.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Cesarotti Dumarsais