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      La passeggiata fu cosí lunga ch'io potei mostrarle le dorate nubi e la candida luna e le luccicanti stelle, e m'ingolfai in quella contemplazione. "Vedi là, - disse lei, - quella stella che luce piú". E in tuono di vezzosa caricatura modulava:
      Quant'è bella chella stella,
      Ch'è la primma a comparé.
      Avrei voluto darle un bacio, ma mi tenni. Vide la mossa, e disse argutamente: "Quella è la stella del nostro amore. Vogliamo darle un nome?" "Diamole il tuo nome. A proposito, come ti chiami?" "Mi chiamo Agnese". "Il nome di mia madre!" Non so dire se ciò mi piacque o mi dispiacque. Mi pareva quasi che quel nome a me sacro fosse profanato in quell'avventura. Poi dissi: "Poiché porti il nome di mia madre, dobbiamo condurci come se quella fosse presente". Lei stava seria, ma non mi persuadeva: c'era in quella serietà non so quale ostentazione, che non mi faceva simpatia.
      Fummo d'accordo che ci saremmo veduti tutte le domeniche, stessa ora e stesso luogo. Le passeggiate furono parecchie. Nella settimana mi mandava dei bigliettini. La scrittura era bella, ma non mancavano errori di ortografia e qualche sgrammaticatura. Talora io facevo il signor maestro, non senza sua noia. C'erano giornate intere e anche intere serate che non compariva: quella stanza mi pareva allora disabitata. Gliene facea motto, ma era sempre pronta qualche storiella. Io aveva fatto di lei il mio confidente, e le raccontava i miei pensieri e i miei casi della settimana. Lei avevi esaurito tutto il suo magazzino di tirate e di novelle, e mi lasciava dire, e poco parlava.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Agnese