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      Io le parlavo a voce alta. "Zitto, - disse lei, - che non si svegli. Menami piuttosto di là". "Ma di là è la cucina". "E sia", disse lei. Entrando, ci giunse un urlo: "Ciccillo!" Lei scappò, io corsi a lui. "Che rumore è questo?" Io sostenni che rumore non c'era.
      Il dí appresso fui in casa di un tal don Vincenzo, un giovane chirurgo che mi faceva l'amico, e abitava nella stessa strada. Scherzando, io gli contai il fattarello, l'urlo di zio Peppe e la fuga della mia bella. Egli parlava un po' alla libera, e mi andava motteggiando sulla mia scelta. Io gli feci mille scongiuri, che la era una giovane per bene, e purissima e virtuosissima, e gli raccontai le passeggiate. Lui mi seguiva, facendo caricature col muso. D'una parola in un'altra, mi uscì detto che il suo nome era Agnese, e che abitava di faccia a me. Allora colui scoppiò in una potente risata, lungo tempo trattenuta, sí che io vedea quasi l'interno della sua gola. Mi narrò che quella virtuosa giovane andava spesso a fare una scampagnata coi belli giovanotti, e passava la notte fuori, e a lui stesso incontrò di vederla in un giardino, che faceva la schizzinosa e fingea le convulsioni, con la bava sulle labbra. Orrore!
      Quella notte non ebbi pace. Ricordai le intere giornate che non compariva. Ci credevo e non ci credevo. Ero di un animo cosí delicato, che nella passeggiata non le dissi nulla. Solo le facevo un risolino equivoco. Le dissi che volevo andare a casa sua. Fece un po' la ritrosa. Una sera ci fui, e l'incanto finí. Quella stanzetta, che innanzi all'occhio dell'immaginazione pareva un tempietto d'amore, mi fece turare il naso, cosí era sudicia.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Vincenzo Peppe Agnese