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      C'erano poi infinite maniere di stili, come il tenue, il magnifico, il forte, l'eloquente, il poetico, il prosaico, ecc. Queste confusioni e queste divisioni avevano la loro spiegazione nell'abitudine dello spirito a considerare tutta questa materia letteraria nella sua esteriorità, secondo le singole apparenze di ciascuna forma. Tante erano le divisioni quanti erano gli aspetti delle cose, considerate nella loro superficie, e vuol dire ch'erano moltissime. Io avevo preso un'abitudine affatto contraria, ché non vedevo le forme, ma le cose da quelle significate, e dalle cose tiravo la definizione e la divisione delle forme. Cosí avevo fatto per la grammatica e per la lingua, cosí feci per lo stile. Secondo che andavo piú innanzi, piú ci vedevo chiaro, e piú stavo saldo in questa idea. Solevo dire che bisognava capovolgere la base.
      Correva allora per le mani il Blair; certo, un progresso dirimpetto al Falconieri e al De Colonia. Io mi divertivo a sue spese. Diceva il Blair: "Le regole conducono al ben dire"; io dicevo: "No, è il ben pensare che conduce al ben dire, e le regole del ben dire prendono norma e qualità dal ben pensare". Combattevo la celebre definizione di Buffon: "Lo stile è l'uomo". Io diceva: "Lo stile è la cosa", e intendevo per cosa quello che piú tardi ho chiamato l'argomento o il contenuto. Se lo stile è l'espressione, questa prende la sua sostanza e il suo carattere dalla cosa che si vuole esprimere: lí è la sua ragion d'essere. A quel modo che la parola non ha valore in se stessa, ma nella cosa di cui è segno; a quel modo che le forme grammaticali hanno il loro senso nelle forme del pensiero, cosí lo stile ha il suo valore nelle cose espresse.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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