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      Me la prendevo coi maestri, che non sapevano leggere; e dicevo che il modo di leggere mi mostrava il valore del giovane piú che qualunque esame, ciò che sembra un paradosso, ed è verità. Quando ero chiamato a qualche esame, solevo far leggere qualche periodo, e a dare il giudizio non mi occorreva altro. Queste parranno puerilità; ma penso anche oggi cosí. In Napoli pochissimi sanno ben leggere e ben pronunziare, e il fatto comincia nei fanciulli, che imparano in modo cosí barbaro a compitare. Il marchese ci si arrabbiava. L'importanza della buona pronunzia e delle letture pubbliche non è ancora ben capita. La lettura che facevo io m'impressionava tanto, che mi si ripercoteva nella memoria per piú d'un giorno, e i piú bei luoghi mi giravano per il capo, e non mi volevano lasciare, e mi gettavano in dolci fantasie.
      Parlando di Dante, toccai del suo amico Guido Cavalcanti, e ci colpí non la vantata canzone sull'amore, ma le deliziose strofe sulla forosetta, e ancora piú la canzone sulla Mandetta, dove sentivamo il fremito d'una passione sincera, cosa rarissima nella nostra letteratura.
      Sapevamo a mente molti sonetti e canzoni del Petrarca, e appunto perché dimesticati con lui, ci fece poca impressione. Poi, il petrarchismo, da noi tenuto a vile, noceva un poco al Petrarca, a quel modo che l'abuso della religione non è senza cattivo effetto sul sentimento religioso. Pure, io tenni molto a rialzare il concetto del Petrarca, e ciò feci a spese de' suoi imitatori. Notando che l'ispirazione del poeta era spesso letteraria, come nelle stesse tre canzoni sorelle e in molti sonetti sulla bellezza di Laura, trovai le orme d'una ispirazione sincera nella sua malinconia piena di dolcezza e di grazia; piú che poeta, io lo chiamai un grande artista.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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