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      Accompagnavo le teorie con frequenti letture di quelle poesie, dove avevo modo di scendere nei piú fini particolari della composizione e dello stile.
      Coronammo quelle lezioni con un pio pellegrinaggio alla tomba di Giacomo Leopardi. Divisi in piccoli gruppi, ci demmo la posta al di là della Grotta di Pozzuoli. Quei paesani ci guardavano con gli occhi grandi, e ci presero forse per una processione di devoti, che andavano in chiesa a sciogliere non so qual voto. Noi ci fermammo con religioso raccoglimento innanzi alla lapide, sulla quale è l'iscrizione di Antonio Ranieri, nome caro a noi, perché caro a Giacomo Leopardi.
      Intanto in casa continuava la baldoria. Costretto a non interrotta meditazione per la novità delle mie lezioni, che mi tiravano il miglior sugo dal cervello, perché non aveva tempo né voglia di leggere, né libri adatti, e spesso tutto veniva da un'accanita riflessione in me stesso, lasciavo dietro di me i rumori di casa, e me ne andavo tutto solo a fantasticare per Capodimonte o per altri luoghi lontani, gesticolando, vagando talora con gli occhi distratti, e ripigliando poi il filo col mio solito: "Dunque, allons, pensiamo alla lezione". Quei buontemponi ch'erano attorno al greco, ne inventavano delle belle. Venne loro il ticchio d'imparare il ballo. Si fece una compagnia d'amici, e due volte la settimana era un diavoleto. Il bello e che vollero tirare anche me in quel gioco turbolento, e io mi ci acconciai di buona grazia, ricordando le lezioni del maestro Cinque.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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