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      E avvenne un altro scandalo, come io chiamavo queste cose. Capitò un abate su' trent'anni, di cui non faccio il nome. Uscito dalla scuola dei Gesuiti, egli veniva pettoruto, con l'aria di volerci inghiottire tutti. E tutti gli fummo addosso, al primo suo lavoro. Declamava certa orazione, in tre punti, col relativo esordio ed epilogo, con le solite amplificazioni, fermandosi dopo certi periodoni, che gli parevano magnifici e di molto effetto, tutto pavoneggiandosi; e piú prendeva il tuono solenne e piú ci metteva d'enfasi, e tanto piú erano romorose le risa. L'abate, vedendosi sberteggiato, ricalcitrava, tutto rosso dalla stizza, e piú s'incolleriva lui, e piú si rallegravano gli altri. Io feci il volto grave, e domandai ad uno dei piú allegri il suo giudizio. Ma l'abate l'interrompeva con certe mosse di stupore: "Come! Ma lei non sa che questa è una regola rettorica! Questa è una ipotiposi. Ma questo nel linguaggio di chi studia si chiama un'amplificazione". E sghignazzava e si dondolava, facendo: ah! ah!, come per affogare le risate nel riso suo. Lo spettacolo era nuovo e voleva una correzione. Feci d'occhio a Francesco Corabi lí in prima fila, ch'era stato serio e prendeva delle note. Costui era un ingegno secco di stretta logica e di analisi fine, acuto come un coltello e stringente come una tenaglia. Ghermí il povero abate e ne fece un cencio. Ben tentava qualche interruzione, ma lui non gli dava il tempo, e lo incalzava, e in breve il ritroso abate si vide tirato a tale altezza, che gli mancò l'aria e gli cascò il capo tra le mani.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Gesuiti Francesco Corabi