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      C'è nei giovani un sicuro istinto che li avvisa di tutto ciò ch'è nobile e sincero; ed è vero che i migliori giudici del maestro sono i discepoli, sono come il popolo, voce di Dio, giudice inappellabile di quelli che lo governano. Il loro affetto era cosí delicato che, quando avveniva qualche sconcio, dicevano:
      Non lo facciamo sapere al professore". Pure c'era un'ombra. Non mi credevano capace di favori, di protezioni indebite; ma cosa volete? quegli Eletti lí, per grazia mia, turbavano alcuni; un po' di gelosia, un po' di vanità e debolezza umana: quella distinzione per ordine, quel carattere ufficiale, come dicevano, non andava a garbo. La gerarchia dell'ingegno c'era, non la potevano disconoscere; ma tant'è, volevano riconoscerla loro, non ammettevano una gerarchia a priori, quasi per diritto divino, come diceva Luigi La Vista. Il quale un giorno saltò a dirmi: "Professore, sbarazzateci; questo nome di Eletti non ci va; vogliamo tutti lo stesso nome!" Cosí, dopo appena un anno, venne a noia una istituzione tanto nel suo principio magnificata. Io con buona grazia feci cader l'uso, e non si parlò piú di Eletti. "Ed eccoci in piena democrazia, tutti uguali", diceva Lavista, ch'era l'idolo della scuola.
      Io dimagravo a vista d'occhio; talora mi vagava il cervello, cercando con gli occhi qua e là, senza uno scopo chiaro e consapevole. Quello star solo e concentrato nella scuola, lontano da ogni umana compagnia, aveva la sua parte in quegli accessi di umor nero, di mala contentezza.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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