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      La sera fui dalla Caterina per abito preso, e non fiatai della cosa; ma sulla faccia si leggeva il maledetto imbroglio ch'era nel mio spirito. Capitò all'ultim'ora don Tommaso, e al solito volle accompagnarmi. L'acuto sguardo della mamma notò la freddezza del mio addio alla Caterina, e disse: "Qualcosa qui c'è sotto; non me la dai a intendere". "Niente, niente", diss'io, piú confuso e piú rosso a quelle parole. Don Tommaso, assorto nelle sue liti, non s'era addato di nulla, e cominciava la sua solita litania; ma io mi sciolsi dal suo braccio, e dissi: "Don Tommaso, questa è la vostra carta". Aveva le braccia lunghe, giocava spesso co' gomiti, e mi dié una gomitata, dicendo: "Eh! eh! cosa ti pare?" "Mi pare, - diss'io, facendo animo, - che dentro a questa carta c'è un semenzaio di liti". "Semenzaio! - disse lui che non capiva la parola, - cosa vuoi dire?" "Voglio dire che delle vostre liti vedranno il termine i figli dei figli". "Andate a fare con un maestro di scuola! - disse lui con dispetto. - La lite è cosa ottima, perché guadagnando hai il cento per cento". E qui s'incaloriva, e contava le sue cause vinte, e si prometteva grandi guadagni e vicina conclusione. Io non risposi piú. Andai ancora un pezzo in quella casa; non volevo si dicesse che per quistione di quattrini la lasciava; ma, non sapendo dissimulare, guardavo brusco e storto don Tommaso che m'era parso un paglietta imbroglione, come dicono a Napoli. Lui ne fece qualche motto in famiglia; la mamma si inalberò e usci in parole grosse; nacque un pettegolezzo, e tutto finí. Io volevo bene alla Caterina, ma non era di quell'amore che ti trascina; e poi in quell'età avevo innanzi tanti belli ideali, e gli occhi erano vaganti e distratti.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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