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      Il matrimonio era per me una velleità, un verme messomi nel cervello dagli amici; l'anima restava al di fuori, e, per dirla con frase moderna, non era giunto ancora per me il momento psicologico del matrimonio. Ripensandoci ora, veggo che fui ingiusto col povero don Tommaso, ch'era in perfetta buona fede, tagliato cosí da natura, che viveva sazio e rubicondo tra le liti, e faceva illusione a sé e agli altri.
      Intanto la scuola sentiva già gli effetti della nuova atmosfera letteraria che vi era penetrata. Quantunque nelle mie letture entrassero sempre trecentisti e cinquecentisti, e scegliessi con accuratezza quei luoghi che piú mi parevano dover dare nel genio e fare effetto; pure quei secoli non solleticavano piú, e la gioventú si gittava con ardore sulla moderna letteratura. Cercavamo ancora qualche vecchio autore, ma di quelli poco soliti a leggersi, e che davano occasione a ricerche interessanti. Cosí ci fu uno studio sopra gli scrittori politici, e un altro su' nostri comici e novellieri. Io davo questi temi letterari, perché occasione a letture e ricerche profittevoli. Avendo terminato il mio corso sulla lirica con un'appendice intorno alla satira italiana, seguí uno studio animato dei nostri satirici, specie dell'Ariosto, andando su fino ai Sermoni del Gozzi e alle Satire dell'Alfieri: il suo Misogallo fu divorato, molti brani si sapevano a mente. Io poi cercavo sempre qualche lettura nuova, che fosse un solletico alla curiosità. Una sera lessi la lettera che sta innanzi ai Discorsi del Machiavelli, la quale aveva pieno me d'ammirazione, e destò in loro entusiasmo.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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