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      Pareva come un bel gioiello scavato di sotterra, e di cui nessuno aveva inteso a parlare. Cominciò la moda del Machiavelli: si disputava intorno ai Discorsi, intorno al Principe. Queste letture, coordinate con letture mie e con mie lezioni, avevano i loro effetti nei lavori. Io abborriva dai metodi meccanici e dai sistemi; quelle regole fisse sul prima e sul poi non mi andavano; lasciavo molto alla spontaneità dei giovani, e nelle mie letture di scuola facevo di gran salti. Volevo svegliare in essi l'iniziativa, la fede nel loro criterio. Gli autori erano tutti di buona lega, ed il marchese, ancorché non ci fosse l'ordine da lui prefisso, lasciava correre. Non ammetteva l'Ossian di Cesarotti, e non le Notti romane e non il Jacopo Ortis, e non il Bettinelli o il Baretti o l'Algarotti: erano autori scomunicati e infrancesati, che pur si leggevano, ma in gran segreto, come si fa dei libri proibiti. Non è che non trovasse a ridire sopra altri autori meno sospetti, in ciascuno dei quali notava qualche taccherella; ma, infine, leggere Alfieri o Foscolo o Manzoni non era poi un affare di stato. Meglio accetti erano Parini e Gozzi. Un giorno giunse la sua tolleranza sino a far leggere il Manzoni. E fin qui andava bene. Ma, visto che la gioventú correva dietro alle novelle del Grossi e del Sestini, dove sentiva un odore di romanticismo, si strinse nella sua toga come Cesare, e divenne intollerante nel suo classicismo.
      Allora, vietata la politica, comparivano i giornali letterari. Oltre l'antico "Omnibus", erano sorti il "Poliorama" e l'"Omnibus pittoresco", e venivano in voga le "Strenne". Uno sfogo ci voleva, e lo sfogo furono villanie e polemiche, che si gittavano al viso, segno di ozio billoso.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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